di Salvatore Grillo
Marco Pannella era oggettivamente “pesante”, “torrenziale”, di difficilissima gestione, ma c’era sempre un momento nel quale gli sentivi sostenere una delle tue aspirazioni di libertà. Allora io mi sentivo “renitente” verso una lotta a cui mi chiamava l’animo mentre i miei impegni o la mia appartenenza politica e sociale fungevano da zavorra. Si finiva per ignorarlo mettendo tutte e due le orecchie sotto il cuscino aggiungendosi alla folla che protestava per la sua prosa “alluvionale”. Tanti si saranno anche resi complici silenziosi del più odioso e vile degli atteggiamenti: lasciare che si sottintendessero chissà quali “altri” segreti interessi, unica molla ammessa per giustificare le grandi “crociate” della politica. Anche il mio amico Mauro Mellini, che pure era una vera anima candida, come altri radicali, ruppe con Marco quando decise di togliere il Partito Radicale dalla mischia per schierarlo come forza di orientamento per le riforme. Quella scelta consentì a molti di aderire ai radicali: fece genialmente nascere la doppia tessera che consentì di stare insieme su temi specifici a Comunisti e Missini, monarchici e repubblicani, cattolici e laici. Mi tesserai anche io.
Fuggì dallo scontro ideologico che aveva riempito di odi e di sangue il 900’, scelse di combattere e vincere battaglie di libertà e, pur di mantenere questa rotta, rinunciò alla concreta possibilità di essere il leader capace di superare lo scontro che infiammò l’Italia dal 1992 in poi. Infatti, con intuito geniale il 9 e 10 ottobre del 1993, all’Ergife, aveva riunito un fronte grandissimo e di grande autorevolezza sul teme della costruzione di un polo democratico; partecipammo in tanti e in quei due giorni si disegnò il futuro. Mentre nel Paese impazzava la guerra civile mediatica e giudiziaria, mentre il Parlamento era assediato dalle procure e dalla pubblica opinione aizzata da tv e giornali, in quell’incontro udimmo teorizzare, assieme a Marco, da Pera, Martino, Bertone, Panebianco, Cassese ed altri ancora, i profili di una nuova repubblica. Molti di questi dopo pochi mesi avrebbero preso le redini dell’Italia.
Ma puntualmente Marco, lanciato il messaggio che gli scaturiva dal suo istinto politico, eccolo ritirare la mano: apparentemente senza spiegazioni rinunciò a formare il partito “ all’americana”, leggero ma “forte” nella presenza sociale. Il seguito è storia ben nota: l’altro diniego, quello di Mario Segni, lasciò spazio ad altri che arrivarono dall’esterno della politica e della cultura.
La mia convinzione è che Marco non volle scontrarsi con i comunisti avendo Occhetto deciso di approfittare del collasso del centro democristiano per conquistare la guida del Paese, un Occhetto che lui aveva cercato inutilmente di coinvolgere all’interno di una nuova grande forza liberale e popolare. Non se la sentì di cavalcare con una parte, preferì non rompere con la vasta platea comunista che gli era stata accanto, forse più del suo vertice, nella grande battaglia per il divorzio.
Ulteriore dimostrazione che Pannella in politica tracciava il solco che lasciava ad altri seminare, ma restava vigile, pronto a schierare maggioranze trasversali per la conquista di spazi di libertà civili in una società che, ricordiamolo, aveva tanto cammino da fare sul terreno delle libertà e dello stato di diritto. C’era Scalfaro Presidente della Repubblica, noto per lo schiaffo alla signora troppo scollacciata o per le numerose condanne a morte date come magistrato del CNL; negli ospedali c’era la maggioranza degli ostetrici che era obiettore per non intervenire nei casi di aborto; nelle famiglie troppi ragazzi sceglievano il suicidio per evitare la gogna dell’essere diversi; le carceri si riempivano di giovani spacciatori mentre la diffusione delle droghe era lasciata in appalto alla delinquenza; infine numerose coppie in cerca di aiuto per la procreazione dovevano emigrare.
Potrei continuare parlando delle lotte per la giustizia giusta che ebbero nella vicenda Tortola l’esempio emblematico, delle battaglie per migliorare la condizione delle carceri, per l’abolizione degli ordini professionali e contro tanti interessi corporativi consolidati, insieme ad altro utile a fare crescere la coscienza liberale che insegna a tollerare il diverso, a rispettare le minoranze, ad apprezzare il dubbio rifuggendo da certezze dogmatiche. Pannella lavorava perché divenissero battaglie di tutti, di chi si collocava a sinistra perché aspirava alla crescita della propria condizione sociale ed economica, come di chi si collocava a destra e si batteva per l’allargamento delle libertà di impresa e di lavoro. In diverse occasioni è riuscito ad unificare maggioranze di italiani multicolori attorno a quesiti referendari che aprivano strade nuove, comunque ha sdoganato tanti tabù.
Una domanda: ha contato di più per la società italiana Pannella oppure Fanfani e Berlinguer messi insieme?
Marco fece uscire dallo scontro ideologico migliaia di giovani portandoli a liberarsi da anacronismi e superstizioni, aiutò ad uscire da un 900 pieno di sangue, spesso versato inutilmente e molti tabù sulle libertà personali oggi risultano divelti mentre rimane, stranamente, nel sostanziale silenzio la crisi profonda del Mezzogiorno italiano le cui popolazioni sono marginalizzate e portate ad invecchiare e ad indebolirsi per la fuga dei giovani, spesso i più preparati. In quei territori vi è stata anche la sconfitta dello Stato nel contrasto con la delinquenza, mai enfatizzata e analizzata al fine di superarla, anzi sempre coperta da una narrazione prevalente che ci racconta lo stereotipo lombrosiano secondo il quale la responsabilità sta nella “natura” delle popolazioni di questi territori. E’ un sottofondo culturale diffuso che invoca la mancanza di reazione delle popolazioni meridionali contro le mafie, organizzazioni, queste, armate ed a cui la disoccupazione molto alta ha reso comunque agevole il reclutamento della propria manodopera. Nessuno arriva a sostenere apertamente la tesi che i cittadini del sud avrebbero dovuto armarsi e reagire, ma tutti tendono a dimenticare che questo compito è la principale delega che i cittadini danno allo Stato. Ci troviamo, quindi, innanzi al fallimento grave della repubblica ma invece di dibatterne, troppo spesso vanno scorrendo sui teleschermi le immagini ordinarie del sud: abusi edilizi devastanti, giovani in moto senza casco, commercianti che ignorano gli scontrini fiscali, mercati abusivi stabilizzati e cosi via: esempi di tendenza biologica della popolazione o plateale dimostrazione della assenza dello Stato?
Questa narrazione del Mezzogiorno viene diffusa al posto di un obbligo di verità: quello di puntare i riflettori sulla stragrande maggioranza di famiglie meridionali impoverite, divise, scarsamente tutelate nella salute che, se possono, debbono andare a difendere negli ospedali del nord, che vivono in una condizione di distacco infrastrutturale che è riassumibile in una foto per tutte sulle trasversali geografiche del nord e del sud: per andare da Torino a Venezia occorrono 4 ore e lo si può fare 23 volte al giorno, per andare da Bari a Palermo accorrono 18 ore e lo si può fare, ovviamente, una volta al giorno.
I dati economici dimostrano come nel nostro Paese, dove i grandi investimenti per i servizi sono stati concentrati da oltre un secolo e mezzo nel nord, il PIL non cresce da oltre un ventennio mentre rimangono inattivi i soli fattori economici disponibili e capaci di generare sviluppo agendo da moltiplicatori, fattori che risiedono principalmente nel Mezzogiorno: il clima adatto alle energie alternative, le combinazioni suggestive tra paesaggio e testimonianze storiche da offrire al turismo, i prodotti agroalimentari di grande valenza, i porti strategici per incrociare i grandi flussi commerciali del Mediterraneo ed infine la centralità strategica in questo mare dove si incrociano tre continenti e transita l 20% della ricchezza mondiale.
Purtroppo le infrastrutture ed i servizi dell’intero Mezzogiorno sono inadeguati a consentire iniziative e sviluppo e occorre una formidabile stagione di investimenti: risulta imbarazzante la comparazione tra nord e sud non solo su posti letto e servizi ospedalieri, asili nido, km di strade e autostrade, scuole ed università, ma anche, purtroppo, in aeroporti e porti, ferrovie veloci, aree attrezzate industriali e artigianali, e via continuando.
Ed adesso veniamo al punto: questo Mezzogiorno, così indebolito economicamente, socialmente e culturalmente, ma così ricco di potenzialità, quale percorso dovrebbe intraprendere per recuperare ruolo e dignità?
A questa domanda, fondamentale per la questione meridionale, sono giunte negli ultimi anni due diversi tipi di risposte con scenari diversi ma per molti versi complementari.
Innanzitutto si è manifestato, rispetto al meridionalismo storico di Salvemini, Sturzo, Gramsci o Guido Dorso, un diverso approccio che ha riaperto la lettura della formazione dell’unità nazionale; il pioniere è stato il giornalista pugliese Pino Aprile con il romanzo “Terroni” con il quale ha aperto uno squarcio storico drammatico, approfondito dalle successive pubblicazioni, ponendo forti argomentazioni e dando vita ad un acceso revisionismo sull’origine dello Stato unitario. In questa linea sono fiorite numerose pubblicazioni di vari autori tra i quali, per citarne alcuni, Marco Esposito, Salvo Di Matteo, Emanuele Felici, Tommaso Fiore, Lorenzo Chieffi, arricchendo e rafforzando il dibattito nel quale si sono inseriti anche i cosi detti “borbonici” che hanno rilanciato una presunta bontà della gestione di quella monarchia del Mezzogiorno italiano, mentre in Sicilia andava riemergendo il sentimento separatista siciliano.
L’altra importante presenza che si è delineata negli ultimi anni, che io amo definire “nuovo meridionalismo”, è figlia di alcuni libri di successo e di insistenti studi e ricerche di economisti, istituti universitari, uffici studi di istituti bancari e della stessa Banca d’Italia, oltre al lavoro costante dell’Istituto Guido Dorso e dello SVIMEZ. Tra i libri posso ricordare “La grande Balla” di Roberto Napolitano, “l’Italia Capovolta” di Claudio Signorile, il trittico di Pietro Busetta “Il coccodrillo s’è affogato”, “Il lupo e l’agnello” e “La rana e lo scorpione” mentre per la parte scientifica le pubblicazioni da citare sono innumerevoli, c’è l’imbarazzo della scelta ma bastano semplici ricerche mirate per una esplorazione. Va inoltre segnalato come, parallelamente, sia divenuta numerosa la pubblicistica di numerosi autori che approfondiscono singoli aspetti potenziali di sviluppo legati al territorio, alle produzioni tradizionali o alla posizione geografica.
L’insieme di questo fenomeno rappresenta una nuova “onda” che pone l’attenzione sul Mezzogiorno ed è rivolta, da un lato, a smascherare la scelta fatta dalla politica e dalle grandi lobby nazionali di privilegiare gli investimenti di opere pubbliche e servizi al nord, ma parallelamente fa emergere come questo fatto sia non solo moralmente condannabile, ma non più conveniente per l’Italia che potrebbe, viceversa, entrare in una nuova fase di espansione economica e di crescita del suo prestigio internazionale se riuscisse ad utilizzare i territori del Mezzogiorno come piattaforma logistica, culturale e politica dell’intera Europa nel Mediterraneo.
Ovviamente per portare la politica a fare queste scelte occorrono non solo verità scientifiche ma maggioranze parlamentari. Occorre un partito del sud? Il successo avuto in concreto per alcuni interessi del nord dalla Lega suggerirebbe di si, ma allora va posta una seconda domanda, questo partito dovrebbe allearsi con la destra o con la sinistra? Dovrebbe allearsi con chi gli da di più? Il messaggio fatalmente sarebbe divisivo in una Nazione che vede inseriti nelle popolazioni del nord una larga parte dei figli delle popolazioni del sud che li sono accorse, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, attorno alle fabbriche che si andavano edificando.
Torno a Pannella e alla sua decisione di non parlare solamente agli Italiani di destra o a quelli di sinistra ma di battersi per far crescere a destra e a sinistra la consapevolezza della necessità di fare alcune riforme e penso che rappresenti un buon esempio per le “ragioni” del Mezzogiorno perché anche queste hanno caratteristiche di universalità.
Ovviamente questa pressione politica deve avere interpreti, apostoli che lavorino su obiettivi che i cittadini “sentano” veri ed occorre un punto di riferimento “affascinante”: la battaglia dei radicali senza Pannella non sarebbe esistita. Difficilissimo se non impossibile trovare un duplicato, allora per questa operazione di verità e di futuro e per colmare questo vuoto, riprendendo quanto chiedeva Guido Dorso, si cerca di mettere insieme “cento uomini” che abbiano compreso, che sappiano indicare la via.
Su questo impegno nasce il primo appuntamento napoletano del 24 e 25 maggio per fondare “Unità Mediterranea”, nel quale ogni persona che sta leggendo queste mie righe, se ci si riconosce, deve ritenersi “chiamata” al di là dell’eventuale colore politico o ruolo sociale. Ci rallegra sapere che con noi c’è Francesco Saverio Coppola il quale, essendo il Segretario Generale dell’Istituto che prende il nome da Guido Dorso e coordina gli istituti meridionalisti, certamente saprà consigliarci come meglio costruire il “luogo” dove fare incontrare le “cento” visioni positive di un Mezzogiorno “diverso”, come coordinarle e farle divenire proposte per l’intero Paese. Lavoreremo come gruppo di pressione per fare partire una serie di iniziative utili e utilizzabili da chi le vuole rappresentare dentro i partiti o nei corpi sociali. Dare tutti una man a costruire un grande movimento di opinione capace di esercitare un ruolo attivo, pronto a lanciare proposte di riforme o proteste di appoggio ai diritti traditi.
Uno strumento di riscatto, ma anche di intransigente censura verso classi dirigenti inadeguate o interessate, probabilmente una importante occasione per rilanciare l’Italia intera e dare forza all’Europa nel Mediterraneo.